La dittatura di Trujillo: il periodo della storia dominicana da non dimenticare
Ultima modifica in data 03/07/2023
Con questo articolo chiudo la serie di contenuti sulla storia dominicana. Dopo il riassunto delle sue fasi salienti e il racconto delle popolazioni che la abitavano da prima dell’arrivo di Colombo, oggi tratto del periodo più sanguinoso e recente:
la dittatura di Trujillo nel Novecento, da cui è nata la Repubblica Dominicana attuale.
Serve un’introduzione per capire il contesto dell’epoca.
I decenni tra XIX e XX secolo erano caratterizzati da caos e violenze. La Repubblica Dominicana passava da un governo all’altro e le lotte intestine rendevano la situazione instabile.
La faccenda si sbloccò nel 1916, quando gli Stati Uniti occuparono il territorio dominicano riuscendo a portare l’ordine.
Parlo nei dettagli di questo e altro nell’articolo sulla storia della Repubblica Dominicana.
Ora che conosci l’ambiente in cui si trovava il Paese, potrai comprendere meglio gli eventi che racconterò sotto.
L’ASCESA DI TRUJILLO
Rafael Leònidas Trujillo, futuro capo supremo della nazione, nacque nel 1891 nelle campagne di San Cristòbal, poco distante dalla capitale.
La sua umile famiglia aveva discendenza mista: il padre era di origine ispano-dominicana, la madre aveva sangue haitiano.
Iniziò a lavorare a 16 anni: fu telegrafista, postino e infine bracciante nei campi di canna da zucchero, dove diventò sorvegliante.
Nel frattempo, non si faceva mancare alcuni reati che lo condussero in prigione.
Nel 1918 si arruolò nella Guardia Nazionale, creata dagli americani per addestrare una forza militare locale che potesse supportare i marines.
La sua carriera ebbe una rapida ascesa, che lo portò ai posti di comando nel giro di 10 anni. Quando gli USA se ne andarono nel 1924, il Paese ripiombò nel caos e i militari erano l’istituzione più potente.
Già capo della Policia Nacional, ricevette dal presidente Vàsquez la nomina di capo di Stato Maggiore. Secondo l’aneddoto che ho letto nel romanzo “La fattoria delle ossa”, ottenne il ruolo con l’inganno:
l’allora capo aveva una relazione clandestina con una donna sposata ed era solito incontrarla sotto il ponte di Santiago. Una sera, Trujillo svelò l’appuntamento al marito della donna e questi fece a pezzi entrambi gli adulteri.
E così la carica vagante passò a lui.
Altra curiosità, in questo caso però certa:
uno dei nomignoli più frequenti, “Chapitas”, gli venne dato perché amava adornare la sua divisa con tantissime medaglie.
UN COLPO DI STATO DÀ INIZIO ALLA DITTATURA DI TRUJILLO
Nel 1930, il crescente malcontento popolare sfociò in una ribellione partita da Santiago.
Trujillo strinse segretamente un accordo col leader della rivolta e dell’opposizione politica, Ureña. Gli avrebbe garantito il suo appoggio e la presidenza, a patto di permettergli di candidarsi alle nuove elezioni.
Quando l’insurrezione arrivò davanti al palazzo presidenziale a Santo Domingo, Trujillo disobbedì a Vàsquez e ordinò alle truppe di restare inermi.
Il presidente si dimise e scappò a Porto Rico.
Trujillo si presentò alle elezioni come candidato, con Ureña come vicepresidente. Ci fu un tacito appoggio degli USA, che lo vedevano come baluardo contro il comunismo che già stava invadendo Cuba.
Il suo gruppo paramilitare “La 42” (rimarrà attivo per tutto il suo regime) eliminò e intimidì tutti gli altri candidati. La dittatura di Trujillo iniziò sotto una falsa parvenza di democrazia, grazie a una vittoria scontata con il 95% dei voti.
L’ambasciatore americano dichiarò che Trujillo aveva ottenuto più voti di quanti fossero effettivamente gli elettori.
COMINCIA IL “TRUJILLATO“
Iniziò così un periodo lungo 31 anni, di cui descriverò soltanto gli eventi più salienti e alcune curiosità.
Innanzitutto, la dittatura di Trujillo impose il culto della personalità: ovunque sorsero statue e monumenti dedicati al leader supremo, vennero stampate monete, francobolli e volantini a lui dedicati.
Si intitolò tantissimi luoghi tra infrastrutture, siti naturali (ad esempio il Pico Duarte, la montagna più alta, divenne Pico Trujillo) e città: la capitale divenne Ciudad Trujillo e la sua città natale fu ribattezzata Ciudad Benemerita.
Ogni casa doveva esporre in bella vista almeno una sua foto, un po’ come altarino. Le chiese dovettero proclamare il detto “Dios en cielo, Trujillo en tierra”.
Il Partido Dominicano rimase l’unico partito legalmente riconosciuto per gran parte del tempo. Chi non si iscriveva, veniva accusato di tradimento e cospirazione e spesso se ne perdeva ogni traccia.
Il 10% degli stipendi finiva a rimpolpare il tesoro nazionale. Di solito, cadeva nelle mani di Trujillo (che raccolse un patrimonio personale di circa 800 milioni di dollari e creò un monopolio in ogni settore economico) oppure andava a rafforzare l’apparato militare.
Nacque il SIM, il servizio di spionaggio che si rese protagonista dei più efferati crimini del regime, guidato dal violento Johnny Abbes Garcia. Qualunque sospettato di agire contro il regime, finiva in uno dei tanti carceri, i principali dei quali erano La Victoria e La Cuarenta.
LA POLITICA DI IMMIGRAZIONE
Basterebbe una parola per sintetizzare il suo obiettivo:
“blanquismo” o sbiancamento.
Nonostante fosse mulatto, infatti, Trujillo era fortemente razzista e voleva creare un Paese con popolazione di carnagione chiara.
Perseguì una doppia politica, l’una opposta all’altra. Da una parte la chiusura totale di chi aveva carnagione scura, dall’altra massima accoglienza a stranieri che potessero “schiarire” la futura popolazione.
I vicini haitiani avevano origine africana e quindi erano molto scuri. E siccome abbondavano nelle regioni dominicane al confine, dove lavoravano come manodopera a basso costo, erano un ostacolo al suo piano.
I rapporti con Haiti, d’altronde, erano difficili da secoli. Il periodo di occupazione del secolo precedente aveva lasciato strascichi tra la popolazione:
addirittura, capitava che molti dominicani più neri della media subissero punizioni perché venivano scambiati per haitiani.
IL GENOCIDIO HAITIANO
La vicina Haiti si era offerta in quegli anni per accogliere gli esuli anti-trujillisti. Il dittatore dunque attuò il suo piano nascondendolo dietro alla necessità di sradicare infiltrazioni cospirazioniste.
Nell’ottobre del 1937 avvenne il fatto forse più famoso della dittatura di Trujillo, la pulizia etnica passata alla storia come “massacro del prezzemolo”:
i militari ricevettero l’ordine di uccidere qualsiasi haitiano, possibilmente utilizzando i machete. In questo modo, additavano la strage come responsabilità del popolo dominicano, esasperato e sempre più intollerante.
Il numero di vittime è sconosciuto. La maggior parte delle stime parla di 20-30 mila morti ma potrebbero essere molti di più.
Ti stai chiedendo cosa c’entra il prezzemolo?
È tutta questione di pronuncia. Prezzemolo in spagnolo si dice “perejil” ma gli haitiani, essendo francofoni, non pronunciano la erre piena e quindi suona pewegil.
Secondo l’aneddoto che va per la maggiore (che ho scoperto sempre grazie a “La fattoria delle ossa”), Trujillo si accorse di questa cosa durante gli anni di lavoro nei campi, inseguendo un bracciante haitiano fuggito.
Senza entrare nei dettagli (il libro si legge in 2 giorni), ti basti conoscere il semplice stratagemma:
i soldati giravano con un rametto di prezzemolo e chiedevano a chi incontravano di dirne il nome. In base alla pronuncia riuscivano a capire se avevano di fronte un dominicano o un haitiano.
Lo scandalo internazionale che seguì obbligò il governo dominicano a risarcire Haiti con 750 mila dollari (circa 30$ per vittima). Sembra che la Repubblica Dominicana non abbia ancora saldato il debito, pagando soltanto circa 525 mila dollari.
Non solo.
Le istituzioni corrotte di Haiti si sono spartite i risarcimenti, lasciando ai sopravvissuti soltanto 2 centesimi a testa.
TRUJILLO ACCOGLIE GLI ESULI DAL MONDO
Se da una parte si procedeva al genocidio, dall’altra si aprivano le proprie porte.
Il regime dominicano puntava gran parte delle sue fortune sull’appoggio statunitense. Durante la Seconda Guerra Mondiale si schierò con gli alleati (pur non partecipando attivamente) ed entrò nelle Nazioni Unite.
Per non perdere questa alleanza strategica dopo il genocidio degli haitiani, nel 1938 alla Conferenza di Evian diede disponibilità per accogliere gli ebrei in fuga dall’Europa.
Negli anni precedenti aveva già accolto gli spagnoli esiliati dopo la guerra civile e negli anni Cinquanta proseguirà questa politica offrendo lavoro agricolo ai giapponesi.
Queste aperture favorivano la politica di blanquismo e lo sviluppo di una società di cultura occidentale, al centro della politica della dittatura di Trujillo.
Mentre gli spagnoli si diffusero ovunque, aiutati anche dall’origine comune, gli ebrei si stabilirono prevalentemente a Sosùa (dove oggi sorge una sinagoga con un museo sull’argomento).
La comunità giapponese invece si stanziò nelle valli dell’entroterra, soprattutto a Constanza. Il loro apporto ha reso la valle il centro agricolo principale del Paese.
Oggi parecchie famiglie vivono ancora nella zona (circa 800 persone secondo i dati del 2018 dell’ambasciata giapponese), formando quella che dovrebbe essere la comunità giapponese più numerosa tra Caraibi e America centrale.
IL MOVIMENTO 14 DE JUNIO GUIDA LA RIBELLIONE ALLA DITTATURA DI TRUJILLO
Nei pressi di Salcedo, nell’entroterra dominicano, c’è un piccolo paesino che si chiama Ojo de Agua. È la tappa di uno dei tour della Repubblica Dominicana che propongo in esclusiva.
Qui viveva una famiglia di ceto medio-alto, proprietaria di un negozio e di una fattoria: padre, madre e quattro figlie.
Una famiglia come tante che divenne, suo malgrado, stimata e famosa in tutta la nazione e non solo.
Molte delle cose che ti racconto le ho scoperte leggendo il romanzo centrale della foto.
La famiglia Mirabal disprezzava il regime anche se lo manteneva segreto. I problemi iniziarono dopo che la terzogenita, Minerva, rifiutò le avances di Trujillo a una festa nella zona. Un diniego apparentemente innocuo ma che invece fu l’inizio della fine per la famiglia.
La situazione degenerò sempre di più, non ti racconto tutto perché puoi trovarlo online o leggendo il libro.
Agli inizi del 1960, Minerva e il marito fondarono il gruppo clandestino di ribellione, che soprannominarono “Movimiento 14 de Junio”. Spinte da ragioni diverse, entrarono a farne parte anche le sorelle Patria e Maria Teresa.
Ogni cellula del gruppo era formata da tre persone. Le sorelle presero il nome in codice di “mariposas” (farfalle, da cui il nome del romanzo).
Grazie all’appoggio di alcuni rivoluzionari cubani sbarcati sull’isola e nascosti sulle montagne della Cordillera Central, il gruppo divenne una spina nel fianco della dittatura di Trujillo.
Era famosa la frase del dittatore “ho solo due problemi: la Chiesa Cattolica e le sorelle Mirabal”.
Tra l’altro, le proteste ecclesiastiche fino a quel momento erano sempre state poche e tiepide. Presero forza dal successo del movimento, che iniziava a sgretolare il consenso del regime.
Il SIM riuscì a incarcerare tutti i principali membri, comprese le sorelle e i loro mariti. Le Mirabal tornarono libere dopo pochi mesi, a causa delle pressioni internazionali, davanti alla delegazione dell’Organizzazione degli Stati Americani (OAS).
LE FARFALLE ENTRANO NELLA STORIA
Il 25 novembre 1960 è una data clou:
due dei mariti delle farfalle erano stati trasferiti dal carcere della capitale a quello di Puerto Plata, più vicino a dove abitavano.
Il piano di Trujillo per sbarazzarsi delle sorelle era iniziato.
Quel giorno, partirono tutte e tre (compresa Patria, nonostante suo marito fosse ancora in capitale) per Puerto Plata. Da tempo giravano voci insistenti che le volevano morte, quindi avevano sempre evitato di trovarsi assieme in uno stesso punto.
Quella era la prima volta.
Nonostante le suppliche della madre e della quarta sorella, Dedè, partirono assieme all’autista di fiducia Rufino de la Cruz.
Dopo la visita ai mariti in carcere, nel tardo pomeriggio presero la strada del ritorno, nonostante i tanti avvertimenti sul pericolo di affrontare la strada al buio a causa di possibili agguati.
Fu proprio ciò che avvenne:
una jeep di sicari attendeva il loro passaggio alcuni chilometri fuori da Puerto Plata, lungo la stretta strada che passa per La Cumbre (dove Trujillo aveva una delle tante ville che usava per i suoi incontri sessuali).
I quattro passeggeri dell’auto furono torturati e uccisi. I sicari li rimisero nell’auto prima di spingerla giù dal burrone per inscenare un incidente.
Il romanzo di Julia Alvarez è la principale fonte scritta per conoscere la storia nel dettaglio in italiano.
Ancora meglio sarebbe “Vivas en su jardìn”, un libro di memorie della sorella Dedè in spagnolo e inglese. Purtroppo, è un libro praticamente irreperibile. Sono riuscito con grandissima fatica a trovare una copia usata in spagnolo e me la sono fatta arrivare dagli Stati Uniti.
Un libro interessantissimo che ripulisce i fatti dagli accorgimenti romanzati e che racconta tutta la vita delle sorelle Mirabal e gli eventi seguiti al loro assassinio, con la visione e la sensibilità della sorella sopravvissuta.
La Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne dell’ONU si tiene il 25 novembre proprio in loro omaggio. Oltre a questo, ci sono tantissimi altri eventi in omaggio alle sorelle eroine, soprattutto nell’America latina e nella loro Repubblica Dominicana. Tra questi, il “Festival Cultural Hermanas Mirabal” di Salcedo, che si tiene ogni anno nei giorni dell’anniversario dell’uccisione per promuovere una cultura di pace, convivenza, solidarietà e sviluppo economico, politico e sociale.
L’INIZIO DELLA FINE
La dichiarazione ufficiale non convinse nessuno.
La dittatura di Trujillo perse definitivamente l’appoggio degli USA, che avevano preso le distanze già da alcuni anni.
L’omicidio delle sorelle fu solo la goccia che fece traboccare il vaso.
Nel 1956, uomini fedeli a Trujillo avevano fatto sparire a New York il giornalista spagnolo Jesùs Galindez, che stava denunciando pubblicamente i crimini del regime. Il suo corpo non è mai stato ritrovato.
Un altro scandalo era scoppiato il 24 giugno del 1960 con il tentato attentato al presidente venezuelano Ròmulo Betancourt:
agenti dominicani piazzarono una bomba sotto la sua auto, egli riuscì a salvarsi ma riportò gravi ustioni.
Betancourt era inviso a Trujillo perché appoggiava i rivoluzionari dominicani e perché aveva portato la sua causa all’OAS, ottenendo all’unanimità sanzioni verso la Repubblica Dominicana e l’interruzione dei rapporti diplomatici.
Dunque, gli Stati Uniti iniziarono a lavorare per la sua deposizione. Temevano che il popolo dominicano si avvicinasse agli ideali comunisti come la vicina Cuba.
La CIA armò sette uomini (tra i quali alcuni ex fedelissimi di Trujillo), che lo assassinarono il 30 maggio 1961. Tempestarono di proiettili la sua auto mentre lasciava la capitale per la vicina Haina, forse per incontrare un’amante.
I suoi familiari tentarono di mantenere le redini del potere con il figlio Ramfìs ma nel 1962 furono costretti all’esilio.
Trujillo rimase sepolto per nove anni nel cimitero di Père Lachaise di Parigi. Alla morte di Ramfìs, entrambi furono portati a Madrid, al cimitero Mingorrubio.
La cappella di famiglia è ancora là e nello stesso cimitero riposano altri dittatori, tra i quali lo spagnolo Francisco Franco.
LA DITTATURA DI TRUJILLO TRA SOPRANNOMI, NOMIGNOLI E CURIOSITÀ
I titoli che si fece attribuire Trujillo sono stati molteplici, tutti pomposi e megalomani. Tra i principali: Benefattore della Patria, Generalissimo, Fondatore e Capo Supremo del Partido Dominicano, Restauratore dell’indipendenza finanziaria.
Accanto ai titoli ufficiali, giravano anche soprannomi.
Alcuni supportati e apprezzati dal regime, come El Jefe (il Capo), il già visto Chapitas o El Chivo (il Caprone; non sono sicuro dell’origine ma sembra che fosse per paragonarlo alla forza e mascolinità dell’animale).
Altri invece venivano dai suoi oppositori per descriverne i vizi: si possono citare ad esempio Il Macellaio e Palle Calde (che richiamava il suo appetito sessuale ma anche i problemi di prostata).
E ora un po’ di curiosità:
- amava passeggiare al tramonto lungo il Malecòn di Santo Domingo, appositamente chiuso al traffico. Tutti i suoi luogotenenti si alternavano nel fargli rapporto, facendo a gara per entrare nelle sue grazie
- sembra che sia stato con migliaia di donne, comprese le mogli dei suoi uomini. Aveva una predilezione per le giovani e parte del suo staff si occupava espressamente di informarsi sulle femmine di ogni famiglia: il rituale classico prevedeva che venissero invitate ad un ricevimento, dove le corteggiava prima di appartarsi. Il luogo di appuntamento più famoso era Casa de Caoba a nord di San Cristòbal, di cui oggi resta la struttura abbandonata. Alcune restavano sue amanti a lungo, forse la più famosa è stata Lina Lovatòn da cui ebbe anche due figli
- fu una sua legge a rendere ufficiale l’inno della Repubblica Dominicana, che per decenni era rimasto in una situazione di stallo
- il 31/07/54 fu insignito dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana come Cavaliere di Gran Croce, un riconoscimento mai revocato, come puoi vedere dal sito del Quirinale.
CONCLUSIONE
I regimi dittatoriali lasciano sempre scorie in una nazione e polarizzano i libri di storia. C’è però una parte della popolazione che li ricorda in maniera positiva.
Alcuni nostalgici si trovano anche in Repubblica Dominicana.
La dittatura di Trujillo è stata una delle più sanguinarie del Novecento, nonostante se ne sappia poco fuori dall’America:
corruzione, intimidazioni, eliminazione di ogni diritto civile e delle libertà, spionaggio estremo e violenze erano all’ordine del giorno.
Tuttavia, cercò anche il consenso ed è indubbio che Trujillo portò la Repubblica Dominicana nella modernità:
costruì infrastrutture, investì nell’alfabetizzazione, ridusse l’indebitamento grazie ad accordi commerciali con l’estero (soprattutto Stati Uniti), vietò il disboscamento per sfruttare il potenziale idroelettrico del territorio.
Ci sono molti modi per conoscere questo periodo, tra libri, filmati e visite. Ti consiglio assolutamente:
- Il tempo delle farfalle: la storia romanzata della famiglia Mirabal corre su un doppio piano temporale. Il presente nell’incontro tra l’autrice e Dedè e il passato attraverso il racconto di quest’ultima. Ne hanno tratto il film omonimo, con Salma Hayek nei panni di Minerva, difficilmente reperibile soprattutto nella sua versione italiana
- La festa del caprone: scritto dal premio Nobel Mario Vargas Llosa, segue tre filoni narrativi. Quello di Urania Cabral, figlia dell’ex presidente del Senato caduto in disgrazia negli ultimi anni di regime, che torna in patria dopo trent’anni dalla fuga e ripercorre coi parenti i tempi del Trujillato; quello degli uomini che attuarono l’assassinio del dittatore; infine, un racconto diretto da parte di Trujillo e dei suoi uomini. Anche di questo romanzo esiste una versione cinematografica, con Tomas Milian e Isabella Rossellini
- La fattoria delle ossa: questo breve libro svela le violenze razziali, viste dalla prospettiva haitiana
- Tròpico de sangre: altro film sulle sorelle Mirabal, con Michelle Rodriguez (la “Letty” di Fast & Furious), si trova solo in spagnolo
- documentari su Youtube, prevalentemente in spagnolo
- visita delle zone legate alle sorelle Mirabal, prevalentemente nelle piccole località di Tenares, Salcedo e Ojo de Agua (dove la loro abitazione è stata trasformata in una casa-museo, lasciata intatta dall’epoca anche nell’arredamento interno).
Ti ringrazio,
alla prossima!
Noel
Nota: articolo rivisto ed aggiornato a luglio 2023.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!